giodip89 |
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| L’intervento chirurgico di trapianto presenta rischi che, per quanto di rilievo, sono però sovrapponibili e non maggiori a quelli legati ad altri interventi di cardiochirurgia in circolazione extracorporea.
Le possibili complicanze successive alla fase chirurgica e perioperatoria sono quelle legate alla terapia cronica antirigetto. Allo stato attuale delle conoscenze, infatti, questi pazienti non potranno mai sospendere del tutto la terapia immunomodulatrice (o antirigetto).
Il rigetto è l’attivazione del sistema di difesa dell’organismo che riconosce il nuovo organo come estraneo e tende ad attaccarlo. Con la terapia immunosoppressiva (ma oggi è più corretto dire immunomodulatrice) si cerca di rendere il sistema “tollerante” nei confronti di quell’organo.
Le complicanze, quindi, saranno nel tempo legate, da un lato al rigetto in sé, che può essere più o meno importante, e dall’altro alla tossicità farmacologica legata alle terapie necessarie a contenerlo.
Sono pochissimi gli elementi disponibili prima del trapianto che possano consentirci di predire quale sarà il rischio di rigetto. Queste valutazioni sono essenzialmente successive al trapianto ed occupano i primi mesi post-operatori.
Si riconoscono due tipi di rigetto: il rigetto acuto, che è essenzialmente presente nei primi mesi e che è caratterizzato da un’infiammazione del cuore nuovo che viene infiltrato dalle cellule di difesa (linfociti); il rigetto cronico, che è più subdolo, compare negli anni successivi soprattutto come una lesione lenta e progressiva della parete dei vasi che perfondono il muscolo cardiaco.
Mentre per il primo le modalità di diagnosi e trattamento sono oggi ben stabilite, per il secondo ancora non ci sono cure certe e definite. Farmaci e nuove tecniche di immunomodulazione (fotoferesi) sono allo studio proprio per contrastare il rigetto cronico (o vasculopatia del cuore trapiantato).
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